Kurdistan iracheno, la speranza vola sopra i conflitti.

Siamo ritornati a volare sul Kurdistan iracheno, realizzando una missione operatoria dal 7 al 12 giugno 2025, presso l’Azadi Heart Center di Duhok.

Durante la missione abbiamo operato 12 bambini, ne abbiamo visitati 168, abbiamo formato 35 medici e abbiamo eseguito l’ecografia a 19 gestanti. Al ritorno, abbiamo intervistato il Dott. Alessandro Varrica, cardiochirurgo e volontario dell’Associazione, spesso in Kurdistan.

Dottor Varrica, dopo alcuni anni siete tornato a operare in Kurdistan. Cosa l’ha spinta?

La collaborazione con l’Azadi Heart Center risale al 2005. Negli anni abbiamo realizzato 15 missioni operatorie, nonostante i conflitti che ci hanno lasciati inattivi per alcuni periodi. Ora siamo finalmente riusciti a tornare e per tutti noi non è stato solo un motivo di grande orgoglio, ma soprattutto una concreta testimonianza di vicinanza alla popolazione locale e ai nostri colleghi curdi. In questo periodo storicamente così difficile, riuscire a realizzare una missione operatoria è portare una speranza, è dare un segno tangibile di vicinanza, è dare un segnale di pace.

Quali sono le maggiori difficoltà incontrate?

La scarsità dei materiali necessari per la realizzazione degli interventi, così come la poca esperienza dei medici nell’affrontare le cardiopatie più complesse e l’altissimo numero di pazienti che hanno bisogno di essere visitati, di essere operati. Insieme a queste difficoltà, c’è la grande determinazione dei medici locali di voler imparare da noi il più possibile per poter aiutare i bambini della propria terra. Questo ci sprona a essere al loro fianco, a fare sempre di più e sempre meglio, certi che loro possano “raccogliere il testimone” e proseguire anche quando noi torniamo a casa.

Come riuscite a gestire l’impatto emotivo delle missioni operatorie?

In Kurdistan, in ospedale, ci sono decine di mamme e papà con gli occhi pieni di lacrime che cercano in noi una speranza di vita per i loro figli. La tensione e la concentrazione sono sempre molto alte, soprattutto lavorando in équipe, prendendo le decisioni velocemente, ma con il massimo della precisione. Rimaniamo chiusi in ospedale per un numero di ore che sembra infinito, ma il legame che si instaura in quelle ore tra tutti i componenti dell’équipe, italiani e locali, è unico e rimane tale nel tempo: è la nostra forza.

Come contribuite al miglioramento dell’assistenza pediatrica in Kurdistan?

La formazione che diamo ai nostri colleghi locali durante le missioni operatorie è fondamentale. Durante quest’ultima missione abbiamo fatto dei training in loco a 35 operatori kurdi. Negli ultimi anni, poi, è nato il progetto Aesculapius che ha già formato 6 cardiochirurghi (4 uomini e 2 donne) del Kurdistan.

Qual è la sua motivazione più profonda nel continuare questo percorso?

Le mie figlie. Loro sono fortunate perché sono nate qui in Italia e stanno bene. I bambini dei paesi più poveri del mondo devono avere la stessa possibilità di cura che abbiamo noi.

Qual è il messaggio che sente di condividere?

Insieme si può. I bambini cardiopatici di tutto il mondo hanno bisogno di noi e noi, nel nostro piccolo, facciamo tutto il possibile per aiutarli.

Le missioni operatorie sono possibili grazie al tuo aiuto. Dona ora affinché tanti piccoli cuori possano continuare a battere e tanti medici locali possano formarsi.

 

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